The Lancet: “il sistema sanitario italiano è a pezzi”

Redazione da Redazione4 min. tempo di lettura
E l’autonomia differenziata potrebbe peggiorare ulteriormente la situazione
L’autorevole rivista medicaThe Lancet fa una analisi lucida e spietata del sistema sanitario italiano.
Di seguito la traduzione di ampi stralci dell’articolo.
Una popolazione in declino
Si prevede che la popolazione italiana diminuirà di circa l’8% entro il 2050, passando da 59 milioni nel 2022 a 54,4 milioni, a causa dell’aumento dell’invecchiamento e del calo del tasso di natalità. Entro il 2050, oltre il 35% degli italiani avrà più di 65 anni, mentre i bambini di età inferiore ai 14 anni rappresenteranno solo l’11,7% della popolazione. Senza riforme, questo cambiamento demografico metterà a dura prova i sistemi sanitari e sociali.
Regioni e dati sanitari
Una delle principali debolezze del sistema sanitario in Italia è l’infrastruttura frammentata dei dati sanitari: non esiste un sistema unificato e centralizzato per la documentazione e la condivisione delle cartelle cliniche elettroniche (EHR), dei dati ospedalieri e delle cartelle cliniche di medicina generale.
La causa principale è l’ampia autonomia regionale, con 20 regioni che operano in modo indipendente e implementano politiche e tecnologie diverse, creando frammentazione normativa e inefficienze. La scarsa interoperabilità tra regioni e ospedali, oltre alla mancanza di sistemi automatici di caricamento dei dati nelle cliniche private, mina l’efficacia del Fascicolo Sanitario Elettronico, il sistema EHR nazionale italiano progettato per tracciare le storie di salute dei pazienti, rendendolo in gran parte inefficace a causa di questi difetti strutturali.
La disparità di risorse tra le regioni
A questo si aggiunge l’assenza di una politica nazionale per allocare equamente le risorse a tutte le regioni o stabilire protocolli standardizzati per la raccolta e il trasferimento dei dati. Molti ospedali e strutture continuano a fare affidamento su sistemi obsoleti e incompatibili, rendendo il trasferimento delle cartelle cliniche e delle immagini diagnostiche manuale e laborioso, anche all’interno della stessa regione o città. L’assenza di standardizzazione impedisce la creazione di registri nazionali, ostacolando un’assistenza efficace e la gestione delle crisi.
Le conseguenze di questo sistema frammentato sono profonde. Durante la pandemia di COVID-19, ha ritardato l’identificazione dei legami tra comorbilità e gravità dell’infezione, esacerbando le disparità regionali nella capacità e nei risultati dell’assistenza sanitaria. Un sistema meglio integrato avrebbe potuto consentire analisi più ampie, approfondimenti generalizzabili e sostenere una risposta nazionale più efficace e coordinata.
Gli effetti economici del sistema frammentato
Un sistema così frammentato impone anche un notevole onere economico al Paese. I pazienti delle regioni meridionali, che in genere sono più limitate dalle risorse, si recano verso ospedali settentrionali meglio attrezzati per il trattamento. Tuttavia, a causa della mancanza di sistemi interoperabili, gli ospedali del nord spesso non possono accedere alle cartelle cliniche dei pazienti, con conseguente ripetuti test diagnostici e cure ritardate. Questa duplicazione gonfia i costi – la sola mobilità dell’assistenza sanitaria interregionale rappresenta circa 3,3 miliardi di euro all’anno – e mina i risultati dei pazienti.
Le conseguenze per la ricerca medica
Il sistema frammentato di dati sanitari in Italia presenta anche notevoli difficoltà per la ricerca. Senza una piattaforma centrale, i ricercatori devono rivolgersi ai comitati di etica e privacy delle singole istituzioni, che possono negare le richieste senza una giustificazione scientifica sostanziale. Dal 2009, la percentuale di studi autorizzati rispetto al totale è scesa al 15%, segnando un calo significativo. Inoltre, la raccolta dei dati è spesso manuale e di scarsa qualità, rendendo quasi impossibili da condurre studi multicentrici e di alta qualità, ostacolando gravemente la generazione di risultati di impatto e generalizzabili.
Nel 2022, l’Italia ha speso 1,8 miliardi di euro per l’assistenza sanitaria digitale, con un aumento del 7% rispetto all’anno precedente. Tuttavia, non è chiaro se questi fondi siano stati pienamente utilizzati e come siano stati spesi, in particolare in relazione agli EHR e all’integrazione dei sistemi sanitari regionali e nazionali, poiché solo il 42% delle cliniche ha riferito di avere un sistema elettronico di acquisizione dati attivo in tutti i dipartimenti.
Gli effetti prevedibili della legge sull’autonomia differenziata
Una riforma appena proposta minaccia di peggiorare ulteriormente la situazione. La legge sull’autonomia differenziata, se approvata, decentralizzerà ulteriormente la governance dell’assistenza sanitaria, approfondendo la frammentazione e le disparità tra le regioni invece di promuovere la raccolta e la condivisione armonizzate dei dati.
La necessità di una armonizzazione legislativa nazionale
L’armonizzazione legislativa a livello nazionale è essenziale per stabilire una rete di dati sanitari unificata in Italia. Questo approccio sosterrebbe l’interoperabilità dei dati, la telemedicina e la digitalizzazione del Servizio Sanitario Nazionale, sfruttando iniziative europee come il Data Governance Act, che promuove la condivisione sicura ed etica dei dati, l’European Health Data Space, che mira a consentire l’assistenza sanitaria transfrontaliera e promuovere la ricerca, e l’AI Act, che cerca di regolare l’intelligenza artificiale affidabile e trasparente nell’assistenza sanitaria.
La mancata azione aumenterà le disuguaglianze, ritarderà i trattamenti e ostacolerà il progresso, mentre dare priorità alle riforme sistemiche offre all’Italia l’opportunità di soddisfare le richieste di assistenza sanitaria e fornire cure eque ed efficienti.
Foto: Steinchen – “l’orsacchiotto Teddy”

 

Cosa ne pensi?

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Ancora nessun commento