Il rimedio ai problemi? Camminare.

Un articolo di Andrew Mc Carthy per il New York Times
Il beneficio del camminare è il segreto meno ben custodito che io conosca. Tuttavia, molti di noi spesso ignorano i suoi molteplici benefici, forse perché la consideriamo un’attività normale. In effetti, non credo che camminerei così spesso o così lontano se il suo unico vantaggio fosse di ordine fisico, nonostante le numerose prove delle sue virtù in questo campo. La marcia mette in atto qualcos’altro che mi interessa di più, qualcosa che merita tutta la nostra attenzione.
Ho scoperto gli effetti dell’escursionismo più di un quarto di secolo fa, quando ho percorso più di 800 chilometri a piedi in Spagna sul Cammino di Compostela, un antico percorso di pellegrinaggio. Mi ci sono imbattuto per caso, prima di ostinarmi a seguirlo per attraversare la Spagna. Da allora, sono un grande camminatore, e non sono l’unico!
Ippocrate affermava che “la camminata è il miglior rimedio per l’uomo”. L’eccellente medico, consapevole che camminare non aveva solo benefici fisici, consigliava anche:
“Se sei di cattivo umore, vai a fare una passeggiata! Se sei ancora di cattivo umore, vai a fare un’altra passeggiata!”
Alludeva a ciò che tanti altri hanno confermato in seguito, vale a dire che camminare non solo nutre il corpo, ma calma anche la mente, bruciando le tensioni e riportando i nostri problemi a una dimensione più gestibile.
Anche Soren Kierkegaard era d’accordo poiché confessava: “Non conosco nessun pensiero, per quanto pesante, che la camminata non possa cacciare”. Per quanto riguarda Charles Dickens, era ancora più categorico: “Se non potessi camminare velocemente e lontano, credo che esploderei e scomparei”.
“Vedere la vita delle cose”
Ma camminare non riesce solo a tenere a bada il male.
Una buona passeggiata stimola la creatività, come confermano numerose testimonianze. William Wordsworth giurava sulla importanza per la creatività della camminata, proprio comeVirginia Woolf e William Blake. Quanto a Thomas Mann, ci ha assicurato che “camminare rende le idee chiare”. J. K. Rowling ha fatto notare che non c’è “niente come una passeggiata notturna per darti idee”, mentre a cavallo del XX secolo, la scrittrice britannica Elizabeth von Arnim era giunta alla conclusione che camminare “è il modo perfetto per muoversi se si vuole vedere la vita delle cose”.
Basta interrogare qualsiasi grande pensatore per conoscere i vantaggi di questa “noia tranquilla” che procura la camminata, per riprendere le parole di Bill Bryson. Così, Jean-Jacques Rousseau confessava: “La marcia ha qualcosa che anima e ravviva le mie idee”. Anche Friedrich Nietzsche, pur essendo di una natura decisamente pessimista, non poteva fare a meno di riconoscere le virtù di una buona passeggiata, affermando che “solo i pensieri che si hanno camminando valgono qualcosa”.
Anche se le mie stesse ruminazioni non raggiungono le altezze a cui Nietzsche faceva riferimento, una buona e lunga camminata, o anche una passeggiata non così lunga, crea lo spazio necessario tra i miei pensieri affinché si alzino con i miei passi in un modo che nessun altro mezzo di trasporto permette. Un fenomeno che lo scrittore viaggiatore erudito Patrick Leigh Fermor ha riassunto molto bene con la formula lapidaria: “Il cavallo-vapore corrompe”.
“Un modo per il corpo di misurarsi con la terra”
Fino a quando non mi sono recato in Spagna con l’unica missione di attraversare il paese a piedi, spesso consideravo la camminata come una perdita di tempo. Ma il Cammino di Compostela ha cambiato il mio modo di vedere le cose. Camminare per un mese ha rivelato aspetti di me stesso (i miei schemi di pensiero in loop, i miei cicli di emozioni abituali, la mia natura timorosa) che non ero riuscito a definire con altri mezzi. Il Camino ha finito per logorare la mia resistenza a guardarmi in faccia, poi, passo dopo passo, mi ha ricostruito. Ha cambiato il mio posto nel mondo.
Invece di considerare la camminata come il modo più lento per andare da qualche parte, ho imparato a vederla non solo come un mezzo per raggiungere un obiettivo, ma anche come un evento in sé. E da quando ho fatto il Cammino di Compostela una seconda volta l’anno scorso con mio figlio di 19 anni, ho finalmente capito che camminare era una delle cose più interessanti che potessi fare.
Come ha sottolineato la scrittrice Rebecca Solnit, camminare “è un modo per il corpo di misurarsi con la terra”. Attraverso questa comunione fisica, ci fa il più prezioso dei regali che ci sia riportandoci emotivamente o addirittura spiritualmente a noi stessi. Quando, l’ultimo giorno della nostra marcia, mio figlio si è girato verso di me e mi ha detto: “Papà, delle cose che ho fatto nella mia vita, è l’unica a cui darei un 10 su 10”, ho saputo che era arrivato non solo a Santiago di Compostela, ma anche – molto più importante – in sé stesso.
Il grande naturalista John Muir osserva con finezza: “Ero appena uscito per fare una passeggiata e… ho scoperto che uscire significava in realtà entrare”. Si è mai visto qualcuno tornare da una passeggiata di un’ora nella natura e rimpiangere di sentirsi meglio dopo? È forse a questo che si riferiva il camminatore incallito Henry David Thoreau quando scrisse:
“Ho camminato nei boschi e ne sono uscito più grande degli alberi.”
Quindi il segreto è lì. È sotto le foglie del sentiero. È lì, sul marciapiede. Allacciatevi le scarpe!
Traduzione dall’inglese dell’articolo di Andrew Mc Carthy per il New York Times
Foto: Bdabney