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Chi era papa Francesco

Redazione da Redazione6 min. tempo di lettura

Il giornale cattolico belga “La Libre Belgique” ripercorre la carriera di questo argentino eletto “per riformare, scuotere e rinnovare” la Chiesa.

“Lo stupore di incontrare Dio all’improvviso”

All’interno della chiesa in cui è appena entrato, gli occhi dell’adolescente devono abituarsi all’oscurità. È il 21 settembre 1953  il giovane Bergoglio, 16 anni, interrompe il suo cammino che lo conduce alla festa annuale degli studenti della sua scuola. Passa davanti alla chiesa parrocchiale e, «senza poterselo spiegare», perché «lo sente», spinge le porte, raccontò in più occasioni. “In chiesa, mi sono guardato intorno. Era un po’ buio. E ho visto arrivare un prete, non lo conoscevo. Non era della parrocchia. Era seduto nel confessionale, a sinistra, guardando l’altare. E poi, non so cosa mi sia successo… Ho sperimentato lo stupore di aver incontrato Dio all’improvviso. Confessandomi con questo prete, mi sono sentito accolto nella misericordia del Signore. Quel giorno ho sentito che dovevo diventare prete. Non ho avuto dubbi. Nessuno.”

Nella vita di questo studente di chimica, tutto cambia in pochi istanti quella mattina. È bastato uno sguardo, uno scambio. E questa non è una cosa da poco. Francesco era un uomo ricco di contatti e riconoscimenti. Decenni dopo, il 13 marzo 2013, a Roma, furono il suo sguardo, il suo corpo imponente, il suo saluto un po’ rigido a catturare spontaneamente la folla quando apparve sul balcone della Basilica di San Pietro. Uomo semplice e un po’ bonario, il Papa non nasconde il suo stupore. Sebbene fosse stato uno dei grandi favoriti durante il conclave del 2005, nessuno contava su di lui nel 2013. Troppo vecchio, troppo poco poliglotta, di salute troppo cagionevole, poco interessato agli eventi sociali romani…

Questo incarico non faceva più per lui, si diceva. Eppure…

“Il prelato delle favelas”

Nato il 17 dicembre 1936 in un quartiere operaio di Buenos Aires, Jorge Mario Bergoglio era figlio di immigrati italiani: il padre Mario lavorava nelle ferrovie, mentre la madre Regina Sivori si prendeva cura dei suoi cinque figli. Nel quartiere, la nonna piemontese (la nonna paterna), che è anche la sua madrina, Rosa, aveva aperto un negozio di alimentari-bar.

“Nonna Rosa”, il suo soprannome, avrebbe avuto un impatto duraturo sul futuro papa. Anche nei suoi appartamenti romani rileggeva le sue parole, le sue brevi lettere, conservate per tutta la vita nel breviario. Sarà lei, con il suo carattere forte e il suo impegno verso il quartiere, a farlo crescere nella fede. «Ha trasmesso il Vangelo con tenerezza, cura e saggezza», confida nella sua biografia  pubblicata nel 2024. È questa santità del quotidiano, dei piccoli gesti, dell’attenzione agli altri che sua nonna coltivava, che incarna il volto che Francesco ha voluto dare alla Chiesa.

Dopo aver conseguito il diploma di tecnico chimico, il giovane Jorge Mario entra nei gesuiti nel 1958. Professore di letteratura e psicologia, è ordinato sacerdote nel 1969. Ben presto, all’età di 36 anni, diviene superiore dei gesuiti dell’Argentina. Sul piano teologico, egli sceglie il campo di Roma, mentre la teologia della liberazione emergeva a sinistra, troppo politica agli occhi della Santa Sede, che la condannava.

L’ombra della dittatura

Ma è soprattutto a livello statale che il periodo argentino è tormentato. Nel 1976, il generale Videla sale al potere con un colpo di stato militare e instaura una dittatura sanguinaria in tutto il Paese. Risuonano quindi due nomi: quelli degli ex gesuiti Orlando Yorio e Francisco Jalics, rapiti e tenuti prigionieri dal regime. Bergoglio, il loro superiore, è stato il responsabile di questo arresto? Avrebbe potuto fare di più per garantirne il rilascio? No, si conclude oggi.

Ma in seguito collaborò con la dittatura? Queste domande hanno scosso i media subito dopo la sua elezione a papa. Sembra che Francesco abbia pagato più per l’atteggiamento ambiguo della Chiesa del Paese che per il proprio. “Papa Francesco non può essere in alcun modo associato alla dittatura”, rispose nel 2013 alla BBC il premio Nobel per la pace Alfonso Pérez Esquivel, diversamente da altri vescovi cattolici dell’epoca. Ciò non significa che Bergoglio non abbia provato alcun rimorso per certe scelte compiute in un contesto estremamente travagliato.

Studente in Germania, rettore del Collegio San José nel suo Paese e parroco, Bergoglio accumula poi esperienza prima di essere nominato vescovo di Buenos Aires nel 1992. Il “prelato delle favelas”, come lo soprannominava allora la stampa locale, si fa un nome vendendo il palazzo arcivescovile, trasferendosi in un appartamento più semplice, prendendo la metropolitana e l’autobus e tenendo discorsi politici socialmente impegnati. nel 2001 Giovanni Paolo II lo nomina cardinale.

Il Conclave: tre minuti per cambiare tutto

Dopo la morte del Papa polacco, l’argentino è uno dei favoriti per raccoglierne il testimone, ma finisce per restare indietro rispetto all’esperienza e alla portata intellettuale di Joseph Ratzinger, il futuro Benedetto XVI.

È otto anni dopo, nel 2013, che l’ora di Bergoglio risuona nelle sale dorate del Vaticano.

«Nei giorni che precedono il conclave, durante il quale viene eletto il papa, si tengono le cosiddette congregazioni generali, durante le quali i cardinali si incontrano e dibattono sulle sfide che la Chiesa deve affrontare», ha raccontato a La Libre Belgique l’esperto vaticanista Frédéric Mounier . Bergoglio parlò per tre minuti e mezzo. Fu allora che tutto cambiò. Pronunciò frasi chiave che capovolsero l’assemblea, permisero la sua elezione e rivelarono le linee generali del suo programma. Insistette con fermezza affinché la Chiesa uscisse da sé stessa, non si guardasse all’ombelico, e andasse verso le periferie, non solo geografiche, ma anche esistenziali, dove si trovano il male, l’ingiustizia, il dolore, l’indifferenza e la miseria.”

Francesco venne quindi eletto per riformare, scuotere e rinnovare la curia (il governo della Chiesa). Ma più profondamente, è stato come pastore, come parroco, attento alle realtà concrete vissute dai suoi contemporanei e dai più poveri, che Francesco si è distinto.

Anche in questo caso è stato sempre fedele alle promesse.

Caldo e freddo, Trump e aborto

In Vaticano, si impegnò subito a contrastare gli scandali finanziari che stavano travolgendo le finanze vaticane e a riorganizzare l’organizzazione e il funzionamento della Curia, il suo governo. Il suo stile, spesso autoritario al suo interno, non è sempre stato gradito, ma alla fine del suo pontificato il funzionamento di questa curia appare più coerente e – soprattutto – più professionale e (un po’ più) femminile.

Nella Chiesa, il Papa ha implorato le parrocchie di tutto il mondo di aprire maggiormente le loro finestre alle sofferenze e alle sfide della società. Francesco non ha mai cambiato la dottrina cattolica, ma ha voluto rivoluzionare l’assetto dell’istituzione affinché non assomigliasse a una basilica autoritaria arroccata sul suo piedistallo, ma a un “ospedale da campo” preoccupato di aiutare i più vulnerabili. Fondamentalmente tutti nella Chiesa sono d’accordo con questa volontà. Ma le condanne interne di Francesco, in particolare verso il mondo tradizionalista con il quale ha sempre avuto difficoltà a dialogare, non mancarono di suscitare discordie e grandi incomprensioni all’interno della Chiesa.

Infine, i rapporti tra lui e il mondo occidentale sono stati altalenanti. Sebbene Francesco non abbia mai cessato di invocare “perdono” e “misericordia”, è stato sempre molto severo con la società capitalista. Donald Trump se lo ricorderà. Che si trattasse di questioni come migrazioni, ingiustizia sociale, clima o etica, il Papa è stato intransigente. Pur potendo affermare che il presidente americano non è un buon cristiano (data la sua politica in materia di asilo o la sua mancanza di ambizione ecologica e sociale), durante la sua visita nel paese lo scorso settembre ha definito la depenalizzazione dell’aborto una legge “omicida” e ha definito i medici che praticano aborti come “sicari su commissione”.

Una Chiesa in tumulto

Raramente un papa è stato così sconcertante. Felice di accendere il dibattito senza sempre offrire risposte (cosa che ha scosso i cattolici tradizionalisti, per i quali il sovrano pontefice dovrebbe “rafforzare nella fede” ), Francesco lascia una Chiesa in pieno sconvolgimento. Affida al suo successore il compito di approfondire i dibattiti attuali (il posto delle donne, gli omosessuali, l’articolazione della dottrina e il mondo contemporaneo …).

In questo senso, l’eredità più importante del Papa è forse quella di cui si parla meno: la sua spiritualità. Francesco era soprattutto un uomo di preghiera.

Gesuita, si formò anche negli “esercizi spirituali” di sant’Ignazio di Loyola, secondo i quali è innanzitutto nella calma interiore della preghiera, nel ricordo paziente delle esperienze passate, nell’osservazione attenta delle situazioni che si può discernere “la volontà di Dio” . È ciò che ha sempre cercato Francesco, a cui piaceva partire dalle situazioni concrete, dalla vita quotidiana e anche dall’arte (musica e letteratura) per pensare il discorso della Chiesa.

La Chiesa cattolica attingerà a questa eredità spirituale per affrontare le sfide che la attendono?

E il successore continuerà il suo impegno a favore degli ultimi (migranti, carcerati…) e per la pace in Palestina, in Ucraina e negli altri teatri di guerra?

Foto: Annette Klingner

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